Come le esperienze disfunzionali di accudimento cambiano il destino di un bambino
Cosa succede quando un abbraccio manca, una carezza ferisce o lo sguardo del genitore è assente? L’infanzia dovrebbe essere caratterizzata da affetto e protezione ma non sempre è così. Ecco allora che quando il silenzio emotivo sale aumentano anche le esperienze disfunzionali che lasciano cicatrici invisibili, capaci di modificare profondamente il percorso evolutivo di un bambino.
Secondo quanto emerge dalla letteratura scientifica, queste esperienze, che includono trascuratezza, maltrattamento fisico e psicologico, abuso sessuale e violenza assistita, possono compromettere seriamente il percorso di crescita di un minore. L’impatto è tanto più devastante quanto più precocemente e ripetutamente si verificano.
Nei primi mesi di vita, il piccolo costruisce le sue aspettative verso il mondo basandosi sulla qualità delle cure ricevute. Un attaccamento sicuro nasce da una figura genitoriale presente, prevedibile, affettuosa.
Quando ciò non avviene, emergono stili di attaccamento ambivalenti evitanti, o disorganizzati, associati spesso a contesti familiari caotici o violenti. I bambini caratterizzati da questi tratti mostrano comportamenti contraddittori: cercano conforto e insieme temono la figura che dovrebbe proteggerli.
Queste “sindromi”, diventano la base con cui il bambino si relazionerà al mondo. Chi è stato ignorato tenderà a vedersi come “non degno di amore”, chi è stato spaventato vedrà gli altri come pericolosi.
Anche il rendimento scolastico può risentirne. Le difficoltà cognitive, la mancanza di concentrazione e l’instabilità emotiva contribuiscono a risultati inferiori alla media. In adolescenza, questi ragazzi possono manifestare comportamenti oppositivi, antisociali, autolesionistici o sviluppare disturbi da dipendenza.
È a questo punto che ci si deve fermare e riflettere. Per comprendere la portata e la complessità del problema, abbiamo intervistato il noto psicologo clinico e psicodiagnosta Dottor Alessandro Foti:
Come possiamo riconoscere in tempo i segnali di una relazione di attaccamento disfunzionale?
Possono manifestarsi già nei primi mesi o anni di vita del bambino. Essi includono comportamenti ambivalenti e contraddittori verso la figura genitoriale. Ulteriori segnali sono una difficoltà nella regolazione emotiva, una tendenza all’isolamento sociale, difficoltà nell’interazione con i coetanei, problemi nel riconoscere o interpretare le emozioni altrui e una spiccata sensibilità a situazioni di conflitto. Spesso, chi ne è soggetto appare insicuro, ipervigile o, al contrario, apatico e ritirato. Il riconoscimento tempestivo di questi segnali è fondamentale per poter intervenire in modo precoce e proteggere lo sviluppo affettivo e cognitivo del minore.
In che modo le esperienze precoci influenzano la costruzione dell’identità e dell’autostima del bambino?
Le esperienze precoci, specialmente quelle vissute nel contesto familiare, hanno un impatto profondo e duraturo sulla costruzione dell’identità personale e dell’autostima. Durante i primi anni di vita, il piccolo costruisce rappresentazioni interne di sé e degli altri, chiamate modelli operativi interni. Questi modelli derivano direttamente dalla qualità delle interazioni con i caregiver. Se tali interazioni sono trascuranti, incoerenti, punitive o assenti, il bambino può sviluppare una visione di sé come indegno d’amore, incompetente o invisibile. Questa percezione può consolidarsi nel tempo, influenzando la fiducia, le relazioni future e la capacità di affrontare difficoltà. Pertanto le esperienze precoci sono determinanti nel gettare le basi di una personalità stabile, sicura e resiliente.
Qual è il ruolo della scuola e degli adulti significativi nel contrastare gli effetti negativi di queste esperienze?
La scuola e gli adulti significativi al di fuori del contesto familiare rivestono un ruolo essenziale nel contrastare gli effetti negativi delle esperienze disfunzionali di attaccamento. Un insegnante, un educatore o un allenatore attento può diventare un punto di riferimento stabile, in grado di offrire al bambino ciò che in famiglia è mancato: comprensione, accoglienza, sicurezza. L’ambiente scolastico può promuovere il senso di appartenenza, rinforzare l’autostima e offrire routine strutturate, elementi fondamentali per la regolazione emotiva. Inoltre, la scuola è spesso il primo luogo dove i segnali di disagio vengono osservati da adulti non coinvolti emotivamente. Attraverso programmi di educazione socio-emotiva, progetti di peer support e interventi mirati, è possibile rafforzare la resilienza e creare un clima scolastico empatico e protettivo. Gli adulti significativi, quindi, rappresentano non solo un supporto educativo, ma anche una possibilità di riparazione relazionale.
Quali interventi servono per interrompere la trasmissione intergenerazionale del trauma?
La trasmissione intergenerazionale del trauma si verifica quando esperienze traumatiche non elaborate vengono inconsciamente trasmesse da una generazione all’altra. Per interrompere questo ciclo, è necessario intervenire su più livelli. A livello individuale, è fondamentale offrire percorsi di psicoterapia che aiutino bambini e genitori a riconoscere, narrare e rielaborare le proprie esperienze traumatiche. A livello familiare, i programmi di sostegno alla genitorialità e le terapie diadiche genitore-bambino possono migliorare le capacità relazionali e di cura. A livello sociale, è importante creare sistemi di presa in carico integrata, che coinvolgano scuola, servizi sociali, neuropsichiatria infantile e centri specializzati. Solo con un approccio sistemico, continuativo e basato sull’ascolto è possibile prevenire la reiterazione dei traumi e promuovere nuove traiettorie evolutive sane.
Che strumenti può offrire la società per promuovere la resilienza nei contesti più vulnerabili?
La resilienza non è una dote innata, ma un processo che può essere promosso e sostenuto attraverso contesti ambientali favorevoli. La società può offrire diversi strumenti per rafforzare la forza interiore dei bambini e delle famiglie più vulnerabili. In primo luogo, l’accesso facilitato a servizi psicologici, educativi e sanitari. In secondo luogo, la promozione di ambienti scolastici sicuri e accoglienti, dove i minori possano sentirsi valorizzati e ascoltati. È essenziale anche implementare programmi di prevenzione del disagio e di educazione alle emozioni fin dalla prima infanzia. Inoltre, la creazione di spazi di aggregazione, supporto alla genitorialità, reti comunitarie e iniziative di cittadinanza attiva possono contribuire a rafforzare il senso di appartenenza e la coesione sociale. Solo una società attenta, equa e competente può farsi realmente carico della protezione dell’infanzia e del futuro dei suoi cittadini più fragili.
Nonostante il quadro a tinte forti, esistono vie di uscita. La resilienza non è un dono innato, ma un processo che può essere attivato e sostenuto. La presenza di almeno un adulto stabile e affettuoso, l’inserimento in contesti scolastici positivi, il supporto psicologico, la possibilità di parlare e rielaborare quanto vissuto: sono tutti elementi che possono fare la differenza.
I bambini maltrattati non sono condannati a una vita di dolore. Possono crescere, trasformare la sofferenza in forza e costruire relazioni nuove, sane, riparative. Ma serve una rete attorno a loro, consapevolezza e una responsabilità collettiva.
AUTORE: Dania Ceragioli



